La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 52075/2014 così ha deciso condannando il professionista per violazione della corrispondenza poichè aveva rivelato a terzi (nella specie Consiglio dell’Ordine, Procura ed altri studi legali) il contenuto di alcune e-mail.

Il ricorrente infatti, un commercialista già rinviato a giudizio per appropriazione indebita, invocava la scriminante di cui all’art. 51 c.p. che però veniva bollata dalla Corte come “una lettura personalistica e distorta della norma penale – nella specie, dell’art. 51 cod. pen. – e sulla assunzione di un concetto onnivoro del diritto di difesa, che non trova riscontro nella tradizione giuridica italiana ed europea ed è disatteso dalla disciplina positiva delle investigazioni difensive” cotinua la Corte col chiarire che la difesa “si compendia in una serie di diritti e facoltà disciplinati dall’ordinamento positivo, nessuno dei quali autorizza intromissioni nella sfera giuridica delle controparti processuali o di altri soggetti processuali, né l’esercizio di poteri autoritativi riservati agli organi pubblici”.

Con siffatta pronuncia quindi la S.C. chiarisce definitivamente che “non è consentito a chiunque, nell’attuale contesto culturale e ordinamentale, farsi giudice dei comportamenti altrui, specie se l’asserita ansia di giustizia origina dall’avversione nutrita verso una controparte processuale”.

Pertanto «nessun obbligo di segnalazione o di denuncia è posto dall’ordinamento a carico del privato che sia venuto, anche accidentalmente (ma non è il caso), a conoscenza di notizie siffatte”

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