Come ho tentato di spiegare in questo VIDEO una problematica che sta creando veramente tanta apprensione soprattutto nell’ambito imprenditoriale è quella relativa all’impatto che questa situazione di pandemia, con il conseguente blocco dei rapporti commerciali, ha nei confronti dei contratti che sono in essere tra le aziende.

In particolar modo quei contratti a “prestazione corrispettiva” continuativa.

Ancor più nello specifico:

Quali sono le conseguenze della situazione attuale di paralisi per i contratti d’affitto commerciali laddove le aziende sono state costrette a rimanere chiuse a seguito dei provvedimenti di contenimento del Covid-19?

Premetto che, ovviamente, non esiste una soluzione che vada bene per tutti perché è evidente che ognuno dovrà fare le sue valutazioni nel caso concreto ma posso in ogni caso ritenere che, nella stragrande maggioranza dei casi, vi sia un interesse alla continuazione del contratto d’affitto e che cioè che non si versi nella situazione in cui i contraenti siano già “ai ferri corti” oppure che la situazione economica sia già talmente deteriorata da dover per forza attingere istituti come il recesso o la risoluzione del contratto.

Il recesso del conduttore infatti consente, per gravi motivi, di svincolarsi dal rapporto contrattuale inviando una raccomandata o comunque una comunicazione formale al locatore sei mesi prima che questo abbia effetto. In assenza di specifica definizione di “gravi motivi” come sempre diamo uno sguardo a cosa ci dice l’interpretazione giurisprudenziale. La Cassazione infatti ha, in linea di massima, ritenuto che i gravi motivi che consentono, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il recesso del conduttore dal contratto di locazione, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 4 e 27, devono essere determinati da fatti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendergli oltremodo gravosa la sua prosecuzione.” In tal senso appare assolutamente fuor di dubbio che l’attuale situazione pandemica possa essere qualificata come ” fatto estraneo e imprevedibile sopravvenuto” tale da giustificare in astratto il rimedio del recesso.

Questo però fino a un certo punto.

Se è vero infatti che sussiste un’impossibilità, è vero anche questa impossibilità è soltanto parziale ovvero limitata ad un arco di tempo. Anche pertanto accedere ad un istituto come il recesso per gravi motivi è un qualcosa che potrebbe lasciare il tempo che trova.

Analoga considerazione a mio avviso vale per la “risoluzione” del contratto per impossibilità sopravvenuta ex art.1256 c.c.

Deve anche in questo caso distinguersi tra impossibilità temporanea che rende l’esecuzione del contatto del tutto inutile e/o non più nell’interesse della parte (ad esempio si pensi ad uno spettacolo teatrale saltato a causa delle restrizioni normative) dall’impossibilità di eseguire correttamente un contratto di affitto commerciale che (si spera) rivesta solo carattere di straordinarietà ma soprattutto di temporaneità. In quest’ultimo caso la norma prevede la non responsabilità da parte del debitore esclusivamente per il ritardo nell’adempimento che resta di fatto solamente rimandato nel tempo.

Alle stesse conclusioni di inadeguatezza dell’istituto sono arrivato anche con riferimento all’art. 1467 C.C. Il quale prevede la possibilità di risoluzione del contratto ad esecuzione continuata se la possibilità diviene “eccessivamente onerosa per una delle parti”. Anche in questo caso l’eventuale eccessiva onerosità avrebbe il carattere parziale e temporaneo e a mio avviso potrebbe non ricoprire quel carattere di gravità tale da giustificare una risoluzione contrattuale. Ma ovviamente anche questo aspetto dovrebbe essere valutato attentamente caso per caso tenendo ben presente l’oggetto e la causa del contratto.

Come risolvere allora il problema?

La soluzione a mio modesto avviso ci viene espressamente data dal successivo articolo 1258 del Codice Civile laddove al primo comma prevede che “Se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile

Ora, è chiaro che bisogna approcciarsi a questi istituti aprendo la mente a interpretazioni intelligenti e innovative, seppur in completa aderenza al principio espresso dalla norma, poichè siamo di fronte ad un caso eccezionale, ad un fatto storico che non é mai stato affrontato (la pandemia) e per cui, anche la nostra attentissima giurisprudenza non ci può fornire troppi appigli interpretativi.

Diamo per scontato, pertanto, ciò che abbiamo ricordato poco fa  sulla corretta qualificazione della pandemia cone “fatto imprevedibile ed estraneo alla volontà delle parti ” e che tale situazione ha comportato l’adozione di provvedimenti normativi che impediscono la corretta esecuzione del contratto (factum principis) allora possiamo tranquillamente parlare, a mio modesto avviso, di “impossibilità sopravvenuta parziale“.

Il debitore pertanto potrà liberarsi dall’obbligazione eseguendo la parte rimasta possibile.

Ma facciamo un esempio:

Poniamo il caso che io sia un conduttore di un locale commerciale debba pagare un affitto di €12000 l’anno divisi pe 12 ratei mensili di €1000.

Immaginiamo dunque che a causa delle restrizioni imposte in questo periodo la mia attività debba restare per forza senza alcuna possibilità di generare introiti. A mio avviso potrei a buon diritto sostenere l’impossibilità parziale all’adempimento dell’obbligazione di pagamento del canone mensile e pertanto sospenderli per tale periodo di impossibilità ed essere “liberato” dal pagamento dei restanti mesi in cui questa situazione non era o non sarà più presente. Ecco dunque che così è salvo il contratto di affitto (quindi niente recesso o risoluzione) bilanciando però i rispettivi interessi alla prosecuzione e alla corretta esecuzione.

Questo ovviamente in linea teorica

Io cosa consiglio? Certamente di cercare una soluzione che passi attraverso il dialogo con le nostre controparti contrattuali, siamo essi conduttori che locatori.

Questa tragedia la stiamo vivendo tutti: il locatore deve ben capire che questa pandemia ha coinvolto il suo affittuario e, di contro, l’affittuario deve capire che questa pandemia ha coinvolto anche il locatore. Partire pertanto da posizioni di principio o trincerarsi dietro un asettico “ma nel contratto non c’è scritto” senza un minimo di elasticità è sicuramente la strada più sbagliata da percorrere.

Personalmente lo faccio da sempre. Ho sempre sostenuto che “un cattivo accordo è meglio di una buona causa” e pertanto vi esorto a cercare un dialogo con le vostre controparti contrattuali.

Per dare un seguito fattivo alle mie parole sto facendo girare tra i miei clienti un modulo che potrete scaricare anche voi a questo link in formato PDF o in formato Word (così potrete modificarlo) che mira semplicemente a rompere quel possibile muro di silenzio che in alcuni casi si è generato tra tra le parti perché fino ad oggi giustamente, si sta pensando alla più grave situazione sanitaria. Piano piano però dovrà essere riaccesa la macchina “economica” e dovremmo iniziare a confrontarci con l’enorme mole di problematiche che ci saranno da affrontare.

Quella che propongo è una comunicazione molto “soft” nella quale, anche nell’ottica di salvaguardare la buona fede contrattuale, si va ad informare il Locatore circa la (eventuale) decisione di voler sospendere il pagamento dei canoni di locazione con contestuale richiesta di riduzione degli stessi a causa di quanto detto prima.

In tal senso ci tengo a precisare IN MANIERA CHIARA TRE COSE:

1. Questo modello non è l’elisir di tutti i mali e prima di usufruirne pensateci bene e fatevi anche consigliare da un vostro consulente (se siete un’attività avrete quantomeno un commercialista che conosce bene la vostra situazione) oppure potete contattarmi con tutti i canali indicati sul sito (rispondo a tutti).

2. Non è detto che la riduzione TOTALE sia giusta, i locatori devono sostenere delle spese vive e pertanto potrebbe essere anche il caso che la riduzione sia pattuita in misura percentuale (90-80-70% ecc.) del canone.

3. L’art 65 del D.L. 18/2020 ha riconosciuto la possibilità di avvalersi di un credito d’imposta pari al 60% del canone di locazione per il mese di Marzo 2020 per gli immobili rientranti nella categoria C1 ed esclusivamente nei confronti dei soggetti che esercitano un’attività d’impresa, restano esclusi ad esempio liberi professionisti e artisti anche qualora usufruissero di un immobile in classe C/1.

NB: con la circolare uscita il 3 aprile 2020 l’Agenzie delle Entrate specifica che il beneficio del credito d’imposta è a esclusivo appannaggio di coloro che dimostreranno di aver pagato il canone di locazione di Marzo (la qual cosa non è assolutamente prevista nella norma ma tant’è e io debbo riferirvela per dovere di verità).

IN QUESTO NUOVO VIDEO IO E IL DOTT. VALLESE ANALIZZIAMO COMPLETAMENTE A PROBLEMATICA SOTTO L’ASPETTO SIA LEGALE CHE FISCALE

IN CONCLUSIONE vi esorto di nuovo con vigore a rinegoziare, rinegoziare, rinegoziare! Cercate in tutti i modi di “mettervi a tavolino” (virtuale manco a dirlo) con le vostre controparti contrattuali negli affitti (ma anche in tutta quella serie di ulteriori contratti commerciali che prevedono l’esecuzione continuativa nel tempo) perché altrimenti all’incertezza e la paura che impregna questi tempi bui andrà ad aggiungersi l’incertezza di un eventuale contenzioso.


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